America non disperare
Riceviamo (da Tchoskji) e volentieri pubblichiamo
A tre estati da “Minority Report” (e cinque da “M-I:2”) la coppia Spielber-Cruise torna su set fantascientifici e oscuri in una rielaborazione liberissima della “Guerra dei Mondi” di Herbert G. Wells (1898), la stessa ripresa quarant’anni dopo dalla celebre piece radiofonica di Orson Welles. Ancora una volta a farla da padrone è la paura di un futuro prossimo venturo minacciato non dall’impero delle Macchine (Spielberg ” A.I.”) ma da quello dei Tripodi, gigantesche navicelle armate di tuttto punto e sepolte millenni addietro da improbabili alieni che non trovano di meglio da fare che “analizzare in silenzio gli uomini come batteri su un vetrino”. Per poi calare l’asso di briscola e invadere immantinenti il globo terracqueo. Già dalle prime scene lo spettatore realizza che quella a cui assiste non è una guerra, ma uno “sterminio, come tra uomini e vermi”. Il sangue scorre elegante e discreto (gli alieni non mutilano, semmai polverizzano) per due ore scarse ritmato da una lugubre meritoria colonna sonora. E ci sembra una di quelle pagine di Kafka in cui la sentenza è già scritta e il movente del tutto inaccessibile. Il trionfo delle riprese in soggettiva e in steady-cam non riesce del tutto a mantenere vivo l’interesse per una storia che si intuisce già come andrà a finire ma della quale non si riesce ad immaginare la modalità del colpo di scena (un po’ deludente).
Parallela all’ecatombe in stile “The day after”,si staglia la vicenda di un Tom Cruise proletario padre di famiglia a la page, tonto e disinteressato quanto basta a comporre un quadretto familiare di eroismi sottointesi e affetti riscoperti (per una volta E.T. prende le sembianze rovesciate della protagonista femminile tutta occhioni e attacchi di panico).
Recensori forbiti hanno visto nella pellicola la ricostruzione degli effetti psicologici dell’11 Settembre, e mi pare che si possa condividere, agiungendo però un paio di tocchi noir che costituiscono la parte più spiazzante ed avvincente dell’interpretazione del Top Gun invecchiato, antieroe individualista del “tengo famiglia” americano.
Come giudicare il film ? L’ Auscwitz spilbergiana -meglio sarebbe dire la Guantanamo- è suggestiva e la trama cuce un contenitore di effetti speciali a valanga (l’esperienza di “Jurassic Park” deve avere segnato il regista). Qualcuno vi vedrà in sordina una pacca sulla spalla a “Fahreneit 9/11” di Michael Moore: alle generazioni future l’ardua sentenza politica.
A noi basta segnalare lo sviscerato patriottismo a cui i film made in Holliwood non riescono proprio a fare a meno: anche quando tutto sembra finito, America non disperare!