“Mi chiamo roberta, ho quarant’anni e guadagno 250 euro al mese…”
Autore: Aldo Nove, titolo in oggetto.
Di questo mi aveva colpito il titolo.
Non è un romanzo, è una raccolta di coppie di testi brevi (4-5 pagine) più intervista. Tema: il lavoro, oggi.
Che non c’è, che è precario, che è in periodi brevi, che manca per colpa delle regole cattive, che è reso difficile, che è merce, che si può comprare e vendere, minimizzando i rischi e massimizzando i risparmi, o usando una parola di moda, i “saving”.
Ogni intervista porta una tessera al mosaico, alla fine rimane la sensazione di aver sentito un bel coro, un coro tragico, che canta la messa funebre per le speranze dei giovani di affrancarsi dall’aiuto dei genitori.
Molte cose sono vere, molte altre sembrano un po’ esasperate. O la loro realtà è diversa da quella che vivo?
Se ne è parlato anche in ferie: alla fine, tra le persone che conosco (e quelle che conoscevano gli altri, quindi parliamo di bei numeri), poche sono disoccupate per forza, tutti stanno facendo qualcosa, e in gran parte dei casi non è un ripiego ma quello che volevano fare. E’ davvero così diverso, vivo davvero in questa “isola felice”?
E se i casi di Aldo Nove fossero una ricerca giornalistica, più che una fotografia del reale? E se creare malumore sul lavoro servisse più che dire “c’è speranza”?