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Milano criminale

Grazie alle offerte lampo di Amazon sul finire di dicembre ho acquistato a un prezzo ridicolo Milano Criminale di Patrizio Roversi.

Riprendo qui ed espando alcune cose che ho postato anche nella recensione di Amazon.

L’ispirazione è esplicita nel titolo: “Romanzo criminale”, e trovo anche corretto dichiarare al lettore molto chiaramente cosa si deve aspettare.

D’altronde le storie della banda della Magliana e del mondo che girava loro attorno hanno avuto successo, ergo proviamo a spostare l’ambientazione da Roma a Milano e vediamo che succede.

E devo dire che la cosa funziona: sentire raccontare il passato di luoghi che si conoscono, leggere le descrizioni di vie, piazze, palazzi in cui si è stati tante volte è molto più coinvolgente per me che sentirmi raccontare Roma, anche quando ci sono differenze su quello che si vede o su quello che si racconterebbe.

Allo stesso modi si cerca per quanto possibile di rifarsi a fatti veri o verosimili, inserendo anche accenni a fatti quali la rapina di Via Osoppo, la morte di Pinelli o la bomba alla Banca dell’agricoltura che, anche con i nomi cambiati, permettono in poche parole di dare un riferimento chiarissimo in termini di tempo, clima politico, ideali.

Il romanzo di Paolo Roversi però non riesce, o non vuole, a stare attaccato perfettamente al modello di De Cataldo, e modifica alcuni aspetti: innanzitutto copre un arco temporale più lungo, si fanno quasi trent’anni, e in quei trent’anni a Milano c’è un cambiamento enorme, da un paesone dove tutti si conoscono a una città vera e propria.

Per raccontare meglio la storia di questa città, Roversi inserisce molto più contorno, molti più inserti laterali che con la trama principale hanno poco o niente in comune, ma che allargano l’affresco. Molto belli i passaggi su Scerbanenco, omaggio a un altro grande ispiratore dell’autore.

Per fare questo e rimanere intorno alle 400 pagine, è giocoforza dover fare un altro cambiamento rispetto al modello, dover togliere o sacrificare qualcosa. E qui la scelta è caduta sulla costruzione dei personaggi: anche i due protagonisti del romanzo, il commissario Santi e il bandito Vandelli, sono solo scolpiti in superficie, abbozzati, mai raccontati da diverse angolature; si parla di loro, si parla delle loro famiglie, ma poco si scava nelle motivazioni, nella loro testa. Sono l’esempio di una categoria, uno sbirro e l’altro bandito. Eppure entrambi sembrano sufficientemente differenti dalla media da meritare un approfondimento, che invece non arriva.

Anche altri personaggi che, seppure di contorno, hanno un peso molto grande nella storia sono molto poco caratterizzati: primo fra tutti il commissario Nicolosi, veramente un occasione persa (o un ottimo soggetto su cui incentrare un prequel, direbbe chi pensa già allo sfruttamento cinematografico).

Non c’è dubbio che questa scelta rende il romanzo meno memorabile e epico, ma ha il pregio di farlo andar via liscio come un fuso, senza mai un punto di pesantezza, senza mai fermare l’avanzamento della storia. Un vero e proprio trattato del romanzo di genere, che si fa leggere dall’inizio alla fine senza pause.

Secondo me è una lettura estremamente piacevole, facile ma non ovvia, ottima per gli appassionati del genere e per chi vuole sentirsi raccontare una bellissima storia di una città e dei cambiamenti che ha visto succedere dentro di sè in trent’anni.