Vallanzasca
Ho finalmente letto “Vallanzasca”, l’altro libro di Vito Bruschini che avevo comprato dopo Piazza Fontana che lessi nel 2014. Sono quindi pronto 5 anni e mezzo dopo a farvi sapere :)
Come l’altra volta, c’è un centro gravitazionale chiaro: Renatino / il bel Renè. Personaggio complesso, diciamo. L’autore non lo giudica, anzi, ma ne descrive in dettaglio il percorso e anche le sue convinzioni interiori.
Lo giudica invece, e non può non farlo, il lettore. Con pochi dubbi, il libro descrive bene la tragedia umana dell’uomo, mangiato vivo dalla sua stessa forza e dalla sua incapacità di definire un limite. Se all’inizio uno può anche leggerlo come un personaggio quasi alla Robin Hood a metà, una sorta di giustiziere sociale, che ruba ai ricchi e non da ai poveri, ma quantomeno non li mette di mezzo, con il passare delle pagine il personaggio diventa odioso, inizia a usare una violenza estrema, inutile, diretta contro tutti; questo non può che alienargli ogni simpatia.
Qui non si parla di fiction: i fatti, sebbene magari accomodati alla maniera di Bruschini, sono quelli. Le vittime nella Polizia, i rapimenti, sono fattuali.
E questo incide tantissimo sul secondo grosso tema del libro: l’esperienza carceraria. Qui il carcere, con il passare delle pagine, diventa sempre più punizione: fisica, morale, mentale. Il problema è che, per come è scritto il personaggio, è impossibile non pensare “se lo merita”. L’escalation della violenza compiuta fuori è seguita dalla crescita della violenza subita dentro; questo mette le cose in una prospettiva di “causa e effetto” che porta il lettore su una strada dura.
Questa è un percorso, difficilissimo e a me non riuscito, di vedere fin dove si può dare a un criminale l’ennesima possibilità. Se Vallanzasca è un criminale nell’animo, violento e senza pietà, ha un posto dentro la società? Fino a quando? Ok le rapine, ma poi dopo gli omicidi? Trattarlo da uomo lo aiuterà a capire l’errore e non ripeterlo? E trattarlo da bestia? Lo avvicina alla società o lo allontana? E ha senso provare ad avvicinarlo a questa, quando ha dimostrato che può esserne parte solo in maniera violenta e distruttiva? Tutto questo sempre nella testa del lettore, mai nelle pagine, che non perde mai l’oggettività e non si schiera apertamente.
Tutto il resto del romanzo gira intorno a queste due cose, ma non è il fuoco e non ha la pretesa di essere una ricostruzione storica esatta o di essere un romanzo corale; solo altri 2/3 personaggi (Turatello, la fidanzata, Moncada) hanno un minimo di spessore, il resto sono solo macchine sceniche che permettono di mandare avanti la vicenda.
Lo stile di Bruschini si conferma gradevole, mette sempre al centro la narrazione (e qui Vallanzasca è la storia) e la fa muovere in maniera scorrevole, con poche pause, con una scrittura precisa e non pesante.