Shtisel
3 serie da una dozzina di ore ciascuna. Sugli ebrei ortodossi di Gerusalemme. Con audio in yiddish (e sottotitoli in Italiano).
Una stranezza? Certo, ed è quello che attira la curiosità.
Un’esplorazione nel mondo degli ebrei haredì? Assolutamente, ed è quello che ti mantiene legato, con la dinamica “Normalmente si farebbe così, ma voglio vedere cosa fa un ortodosso”.
Ma sotto sotto, la fabula della storia è un melodrammone familiare, con lutti, separazioni, amori, lotte, soldi. Praticamente Beautiful con le kippah, e sempre attraverso la lente dell’ebraismo ortodosso, idiosincratico a molte cose della modernità.
E, proprio perchè comunque scritto e prodotto bene, sempre cercando di essere manzonianamente verosimile e mai vero, tiene comunque attaccato lo spettatore. Non siamo al binge watching, ma è comunque un piacevolissimo oggetto narrativo.
I personaggi, in particolare, più che le vicende, sono venuti proprio bene, scritti in maniera tale da creare affezione nello spettatore.
Con la Signora si scherzava sul fatto che, ormai più che quarantenni, stiamo ammorbidendo il nostro elitismo culturale, e Shtisel (melodramma in salsa giudea) non è in vero chissà che scelta alternativa, ma è solo la normale anticamera al mettersi a vedere il serial di RaiUno con Beppe Fiorello come protagonista, chiudendo il cerchio antagonista iniziato con Boris.
Si sente anche un certo cambio di scrittura tra le prime due serie, del 2013-2105, prodotte localmente in Israele, e la terza, prodotta nel 2019-2020 da Netflix, che ha un filo ammorbidito certe durezze che però erano quello che rendeva il prodotto particolare e fuori dagli schemi.
Niente che comunque lo renda inguardabile o sfacciatamente pop, eh, solo un cambio di accento, legato forse alla voglia di renderlo meno locale.
Comunque una visione su Netflix più che raccomandabile.