Generazione 56k
Beh, bah, mah, ma sì, dai.
Reazioni un po’ così dal mio divano a questa serie Netflix, di produzione italiana, sulla generazione che aveva 12 anni più o meno nel 1998 e che oggi ne ha 30 e qualcuno.
Raccontando storie di personaggi poco più giovani di poco di me, questo “Generazione 56k” mi è parso quasi un guardare indietro. E senza particolare soddisfazione. Gli amori, il lavoro, mettere su famiglia, il rapporto con gli amici che cambia. Lasciamo da parte il solito tema nostalgia, che può o non può piacere, ma che non cambia l’approccio alla serie.
Alla fine abbiamo il solito Boy meets Girl, poi un po’ di casini sentimentali, poi lieto fine; di contorno, gli amici che più o meno vivono le stesse cose. Sì, questa volta il plot viene un po’ (ma non troppo) giocato sui due livelli temporali, con due vicende collegate che si svolgono a tanti anni di distanza e che, dipanandosi, spiegano ciascuna un pezzettino dell’altra. Ma niente di rivoluzionario o che faccia gridare al miracolo.
Ben confezionato, ben girato, bravi gli attori, ma da una serie che ha il suo claim principale nell’autorialità dei The Jackal mi aspettavo qualche colpo stilistico e narrativo in più. È una serie bella, ben confezionata ma piattina. Passa veloce come l’acqua fresca, con anche i colpi della linea comica di Fru tutti abbastanza telefonati e stereotipati. Si arriva però alla fine senza pensieri, e capisco che anche quello è un aspetto positivo.
Non è per me, o sono io a volere troppo da Netflix, ormai diventato mainstream?