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Jocelyn uccide ancora

Preso qualche mese fa, in occasione del processo che vide coinvolto l’autore, questo “Jocelyn uccide ancora” mi ha lasciato un po’ così.

Bianca era il mio film di culto, quello che mi aveva convinto che nella vita potevo continuare tranquillamente a essere un moralista, bastava che facessi ogni tanto degli scatti da matto.

Perché? Perché è il classico libro (e autore) che va bene preso a piccole dosi. Non è un mistero che Lo Sgargabonzi sia il nom de plume di Alessandro Gori, autore televisivo apprezzato (è del giro Landini/Fanelli, che va tanto di moda ultimamente) e figlio della corrente “black humor? sì grazie”.

e si sta letteralmente con la lingua fuori (in senso lato ovviamente).

Giochi di parole, violenza gratuita, libere associazioni, scatologia. Funziona tutto, e funziona benissimo. A meno che non vogliate leggere più di un capitoletto per volta. Se lo fate arriva la noia, vi accorgete che ogni dieci pagine i concetti sono sempre uguali (“Guarda mamma, dico quello che non si può dire”), per una verbalità che è ripetuta volgarità.
Non si cambia tono, non si sale e non si scende, e quindi stufa. E peccato perché questo danneggia anche le numerose trovate che ci sono dentro. Non c’è aria per godersele.

È lo stesso concetto di The Aristocrats, il famoso sketch “che non si può fare in pubblico” della comedy culture americana.
Ne senti parlare, ti aspetti chissà che, poi lo vedi e alla terza “iterazione” (come molti sketch è basato su un loop che si ripete) dici “ah, bene” e passi ad altro.

E intanto, nessun appiglio là fuori. Solo orizzonti neanche troppo lontani ma comunque irraggiungibili in quel tentacolare girotondo d’anime in vendita che era la notte di Cleveland. Un posto per scrollarsi via di dosso ogni illusione, potete giurarci.

Ha senso forse come testo “da snack”, ne leggo qualche pagina e poi ci ritorno tempo dopo, o in un contesto come quello della TV, dove può spiccare per 3-4 minuti per poi passare ad altro.