M. Il figlio del secolo
Con quel sano ritardo di qualche anno, ho letto questo “M. Il figlio del secolo”, romanzo storico che parla dell’ascesa al potere del Fascismo in Italia.
Sarà stato il centenario, sarà stato il clima politico, sarà stata la voglia di tornare a leggere un bel mattone (sono 800 pagine abbondanti), mi ci sono trovato in mezzo e me lo sono gustato.
Non è una monografia su Mussolini, che soprattutto nelle fasi iniziali è una figura quasi di sfondo. Non è neanche una perfetta rendicontazione storica (diversi specialisti hanno segnalato degli errori). Ma come tutti i romanzi storici, a mio avviso, funziona perché riesce a dare un’idea credibile e verosimile del periodo. E in questo caso il periodo descritto è una lunga e fitta serie di contraddizioni, di sbandate da una parte e dall’altra che in un oscillare sempre più violento portano la storia d’Italia alla sua dittatura.
Dittatura che però (da buona vicenda italiana, forse) non arriva con un vero ed esplicito colpo di stato, ma più con un intervento non fatto, con un “No!” non detto, da una serie di figure che avrebbero potuto ma che hanno pensato “Forse, forse, conviene un po’ anche a me”.
Fino a quando è stato troppo tardi.
Una parabola della rana, un innalzamento lento e inesorabile della temperatura sociale indicato da tutti come “ma poi si sistema”, i cui danni si sono pagati per decine di anni.
Il testo è scritto bene e, come detto, non è inchiodato sul Duce ma descrive molte figure del periodo: D’Annunzio ad esempio, ne esce come una figura positiva. Il primo quarto del romanzo è quasi un’esaltazione della sua capacità di leggere la folla e di guidarla. Roba da diventare irredentisti.
Diverso invece il ruolo assegnato a Magherita Sarfatti, amante ufficiale di Mussolini, che ha il ruolo della maestra di vita, di stile, di società. Che però forse alla fine (o meglio, all’inizio del Fascismo) inizia già ad accorgersi dell’errore commesso. È una figura che già dall’inizio simboleggia il “ma non doveva andare così”.
E poi c’è il codazzo di ras e fascisti vari, personaggi in cerca d’autore, ognuno con i suoi difetti, accomunati dall’essersi trovati al posto giusto al momento giusto.
Nella parte finale del libro, ovviamente, prende risalto invece la figura di Matteotti; è a mio avviso l’unica figura dell’opposizione che ha un ruolo sempre positivo e una valutazione finale scevra da ogni critica. Si immola, sapendolo, e nel farlo diventa l’eroe che nessuno ha il coraggio di essere; molti nomi che nel dopoguerra avranno ruoli primari nell’Italia liberata, fanno scelte diverse da quelle dell’onorevole socialista, e a differenza sua, riescono a sopravvivere.
Sicuramente una lettura piacevole, non ho immediatamente voglia di tuffarmi nei due testi successivi.
Più avanti, forse.