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Sergio Marchionne

Mi incuriosiva da un po’ la figura di Marchionne.
Ho qualche ricordo, ma diciamo che la sua parabola si è compiuta quando non davo ancora molta attenzione alle notizie e all’economia in particolare, avevo giustamente altro per la testa. Ho quindi voluto approfondire con una bella biografia.

«Accountability eats organization for breakfast», ovvero «La responsabilità si mangia l’organizzazione a colazione».

Cosa viene fuori da questo testo di Tommaso Ebhardt, che ho letto in una versione “aggiornata” (in realtà una prefazione aggiunta) grazie a MLOL?

La credibilità di un’azienda si misura anche dalla sua capacità di far emergere internamente i suoi nuovi leader.

Che alla fine non so quanto valga la pena rovinarsi la vita per il lavoro. Perchè di quello, nel caso di Marchionne, si sta parlando.
Una totalizzante, unidirezionale, continua spinta al risultato. Che è la cifra dei migliori (penso dal punto di vista sportivo a Kobe, a Jordan, o a Steve Jobs nell’ambito del business) ma che è forse uno standard troppo alto a cui mirare, e a cui far mirare le persone vicine a se. Non so quanto si possa vivere di solo una cosa.

«Ci vogliono ambizioni, non puoi scegliere come obiettivo la mediocrità o finirai per farti schiacciare dai concorrenti», mi dice in un’intervista. E poi, come ha spiegato in varie occasioni agli investitori, a lui non interessa quante auto arriverà a vendere a fine anno, ma quanto profitto sarà riuscito a portare a casa.

Ne faccio quasi una questione biologica, di dieta: non esiste un cibo/attività che da solo basti a tutto, la dieta monotematica ti ammazza, prima o poi. Lo stessa monotonia, penso, faccia male anche al fisico e alla mente quando ci si allontana dalla tavola e si passa alle azioni e alla mente.

Ci ha insegnato che l’unica domanda che vale davvero la pena farsi, alla fine di ogni giornata, è se siamo stati in grado di cambiare qualcosa in meglio, se siamo stati capaci di fare una differenza.

Nella storia di Marchionne ci sono dei risultati, è indubbio. In un paio di passaggi ci si ritrova a fare il tifo per la sua figura, che ha comunque capacità tecniche.
Anche quando va “contro” i lavoratori, sembra lo faccia con una ragione (forse).

«Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale»

Se cerchiamo però c’è anche una certa tristesse capitalistica di non averli mai fatti “per sè“ o “per l’azienda”, ma di averli fatti esclusivamente per il Capitale, ovvero gli azionisti. Vedi anche il fatto che poi, dopo la morte, non ci è voluto moltissimo anche a tornare indietro su quelle scelte che aveva fatto per dare sicurezza almeno ai lavoratori degli stabilimenti. La sua volontà contava solo fino al momento in cui era in linea con quella del padrone.

Marchionne chiarisce che il suo obiettivo finale non è vendere automobili, ma portare profitti ai suoi azionisti. Quello che interessa agli investitori che comprano il titolo Fiat Chrysler non è quante Panda l’azienda riesca a piazzare sul mercato italiano, ma quanto utile arrivi a produrre.

Le pagine finali, con il suo “fra pochi mesi lascio e faccio finalmente quello che voglio” mai realizzatosi per la morte, lasciano in bocca un amaro enorme. E quindi un enorme cui prodest rimane nell’aria. E, devo dirlo, non solo in quella del libro, ma si può espandere anche in tante altre situazioni e campi.

[…]Niels Bohr, quando disse che ‘fare previsioni è molto difficile, specialmente se si tratta del futuro’.

La prosa di Ebhardt è gradevole, stucchevoli solo alcune continue ripetizioni di locuzioni fisse (“il figlio del carabiniere”, “la rock star”).
Forse un po’ troppo “comunicato stampa” style.