Canti di guerra
Stefano Nazzi è stato bravissimo a crearsi un brand con il lavoro fatto au indagini. Meritatissimo, ma è un percorso che dice anche molto di quanto le cose siano cambiate nel tempo.
«Facciamo venire qui il papa, è uno sportivo, vedrai che ci sta. E poi cinquecento invitati. Vallanzasca si sposa, Turatello è il testimone e le nozze sono celebrate da papa Wojtyła.» «Con tutto il rispetto Francis, tu sei pazzo»
È strano, se uno ci pensa: ha lavorato per anni nella nera, ma solo quando è arrivato il podcast ha preso notorietà, grazie al fatto che nell’era del social conta ormai quasi più l’autore del contenuto. È stato capace di creare il suo stile, di imporre una voce. È difatto un performer (tanto è vero che il podcast è finito anche sulle tavole dei teatri).
C’è una leggenda che viene tramandata nella malavita milanese: un giorno il Tebano, tramite Liguori, fa recapitare un cucciolo di leone a Bettino Craxi, segretario del Partito socialista italiano e politico in forte ascesa a fine anni Settanta: «Per sua figlia Stefania» dice il messaggio.
Ora invece torna alla forma scritta e a un racconto di nera pura.
Questo Canti di guerra narra la Milano degli anni ‘70, descritta raccontando le vite di tre uomini: Francis Turatello, Angelo Epaminonda e Renato Vallanzasca.
E quando si parla di raccontare la vita, la scelta che fa Nazzi è di usare un taglio dettagliatiasimo, quasi un close up solo su loro tre.
Anche solo le persone immediatamente vicine a loro sono staccate, sullo sfondo.
Il contesto (la milano dei ‘70, non ancora da bere/pere, la politica, etc.) quasi non c’è, o meglio, c’è, ma solo nella misura in cui è funzionale al racconto delle azioni.
C’è solo una sequenza continua, dettagliata, di piani americani sui fatti della vita di questi tre e sui loro atti criminali, le rapine, le scelte di entrare o meno in un settore della criminalità.
«Renato, senti, voglio farti sottoporre a una perizia psichiatrica. Possiamo tentare quella strada». «Ma non diciamo cazzate, avvocato, io non voglio passare per fuori di testa, sono un bandito, non un pazzo.»
Sta quasi al lettore collegare i puntini, capire dalla descrizione (magistrale) degli atti violenti, delle decisioni di business, dove ognuno dei tre vuole andare, quale obiettivo ciascuno di loro ha.
È un quadro descritto praticamente solo attraverso i movimenti di tre punti.
Piacevole, ma strano.