The vanishing of Ethan Carter
Tempo fa, lo avevo riscattato gratis via Epic Games.
Siccome ora sarà uno dei giochi di cui si parlerà in Retroutcast, la costola retrogaming di outcast.it, me lo sono giocato, in modo da arrivare al podcast preparato.
Il responso? è un “Mah”, non convintissimo.
Capisco bene e apprezzo, in alcuni casi, l’idea del walking simulator, ovvero del gioco in cui si cammina in giro, in cui il solo “passare sul punto giusto al momento giusto” è sufficiente a portare avanti il gioco, in cui la narrazione la fa da padrone rispetto all’azione.
Qui però senza soluzione (o taaaaaaaaanto backtracking) si rischia di finire a vagare per il nulla.
Va bene avere mano libera (o come si dice all’inizio del gioco “[this game] does not hold your hand”) ma il troppo stroppia.
Attenzione: non stiamo parlando del non sapere cosa fare dopo. Quello mi va benissimo, anzi. È che qui più che altro è non sapere dove andare, è incocciare, a volte addirittura a caso, negli elementi che ti permettono di portare avanti il gioco, all’ interno di un mondo che non è piccolo e che comunque vede i punti di riferimento ben diluiti.
È vero che il gioco, da un certo punto in poi, inizia a suggerire “cosa manca” per risolvere il caso, ma lo fa troppo tardi e troppo in là.
Peccato perchè la realizzazione è comunque eccellente (ho giocato alla versione Redux, che usa Unreal Engine 4), i panorami in alcuni punt son davvero fotorealistici, la storia (quando si capisce come portarla avanti) è gradevolissima, con personaggi scritti bene e un eccellente intreccio.
È da questo punto, anche per durata (non arriva alle 4 ore) un eccellente esperimento di “interactive fiction”, dove al giocatore è richiesto un piccolo contributo in termini di riflessione e “messa in ordine” degli stimoli e un grande contributo di immedesimazione e ascolto.
Le stesse meccaniche hanno alla fine una complessità molto bassa, non c’è “sfida” pratica (tranne forse un passaggio) o particolare impegno intellettuale nel risolvere gli enigmi.
Bisogna sedersi indietro e ascoltare, portando ogni tanto al gioco ciò che serve.
È sicuramente un’esperienza interessante, ma non è il vostro “gioco” abituale, in cui c’è sfida o cos’altro.
E forse proprio per questo, in un ambiente così focalizzato, scoccia un po’ la parte di “trova il pixel esatto tra altri mille”. Vogliamo fare i fighi e chiamarla rottura dell’immersività? Facciamolo.
Comunque se lo trovate gratis giocatevelo, anche appunto gettando un occhio alla soluzione. Male che vada avete buttato qualche ora.